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Come lo smart working cambierà l’idea di casa

Nato da un’esigenza legata alla pandemia, lo smart working è ormai destinato a restare nelle vite di milioni di lavoratori. L’Ufficio Studi di Gabetti ha redatto un report “Smart working e nuove esigenze abitative”, sulla base di una survey condotta su oltre 300 lavoratori, per capire come sono cambiati l’idea di casa e gli stili abitativi e il loro impatto sul mercato residenziale. A livello di location, oltre l’80% di coloro che svolgono smart working, utilizza la dimora abituale, mentre il 10% la seconda casa. Dall’analisi dei risultati è inoltre emerso che solo il 22% dispone di una vera e propria stanza studio, mentre il 43% ha risposto di lavorare in soggiorno e circa il 15% in camera da letto. Il 9% ha invece dichiarato di lavorare in cucina, mentre la restante parte in modo indifferente tra i vari ambienti dell’abitazione, alcuni dei quali assumono le forme di una stanza multifunzionale. Da evidenziare anche la postazione di lavoro in camera da letto che è adottata dal 15% del campione. Si tratta di una tendenza che si riscontra ormai di frequente tra i lavoratori da remoto in quanto, grazie all’utilizzo di scrivanie mobili pieghevoli al muro, una camera da letto di discrete dimensioni può ospitare una postazione ufficio, diventando a tutti gli effetti un ambiente multifunzionale. Ma come potrebbe lo smart working cambiare le esigenze abitative in futuro? Il dato di sintesi dell’insieme delle risposte ha permesso di osservare gli impatti dello smart working sul modello abitativo dei rispondenti, considerando oltre alle esigenze interne all’abitazione anche quelle relative al contesto, al budget economico, alle prospettive di vita. La prima indicazione che emerge dall’analisi dei risultati è che 1 su 4 ha risposto di avere l’intenzione di comprare, o di avere già comprato, una casa di dimensioni più grandi a causa del lavoro da remoto, che richiede uno spazio dedicato. Tale tendenza risulta ancora più evidente nei comuni non capoluogo, dove la percentuale sale al 30%. In linea con questa tendenza, la seconda indicazione emersa è che circa il 24% dei rispondenti ha effettuato, o effettuerà, modifiche interne all’abitazione in termini sia di una diversa organizzazione interna degli spazi, sia di arredamento. Un’esigenza soprattutto di chi ha sufficiente spazio per lo smart working – anche se si è in due a dover lavorare da casa – ma non ha trovato la giusta razionalizzazione degli spazi per la realizzazione delle postazioni ufficio. Per i molti lavoratori che hanno sperimentato il lavoro da remoto full time e ai quali l’azienda ha comunicato di volerlo mantenere anche dopo la pandemia, l’impatto sul modello abitativo ha una dimensione rilevante: il 21% del campione ha infatti risposto che lo smart working ha comportato, o comporterà, un trasferimento nel comune di origine, prevalentemente nel centro e nel sud Italia (south working). In questo contesto il dato è più significativo per i residenti nei comuni capoluogo (28%) e in particolare nelle grandi città (30%), rispetto ai residenti nei non capoluoghi dove rappresenta solo il 9% dei casi. Tra le ragioni di questa scelta radicale, il 33% lo ha fatto (o lo farà) per avvicinarsi ai propri cari, il 22% perché lo ritiene un ambiente ideale dove far crescere i propri figli, il 21% per il minor costo della vita e il 14% perché già proprietario di un’abitazione.

Fonte: www.idealista.it

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